Vis à Vis – Fuoriluogo 23 / Victoria De Blassie e Connor Maley (Castelbottaccio, CB)

Vis à Vis – Fuoriluogo 23 / 2020
Artists in Residence Project

Lucito (CB) . Aischa Gianna Müller . Legarsi a una stella futura
Castelbottaccio (CB) . Victoria DeBlassie Ferro bacchiato / Sfrangi Pane – Sfrangi Panni; Connor Maley / Fiori, fantasmi e piccioli

Limiti inchiusi arte contemporanea

cura di Matteo Innocenti
agosto 2020 / ottobre 2020

Regione Molise – Assessorato alla Cultura . “Turismo è Cultura”
Patto per lo Sviluppo della Regione Molise
partner: Comune di Lucito . Comune di Castelbottaccio


È tra i fattori centrali e determinanti di una residenza artistica addentrarsi nel contesto in cui ci si trova a vivere, pur per un periodo di tempo limitato, cercando di conoscerne alcuni aspetti storici e del presente. In questo senso gli artisti sono dei testimoni speciali, poiché gli stimoli che ricevono vengono tradotti in visione, trasfigurati in immagini che hanno, in sé, la traccia degli eventi e l’evocazione delle possibilità future; senza forzature – così dovrebbe essere – per lasciare spazio alla soggettività delle interpretazioni.

Victoria De Blassie (Albuquerque, New Mexico, 1986)e Connor Maley (Washington, D.C., 1984) pur nell’autonomia delle rispettive ricerche, essendo rispettivamente artista visiva e scrittore – coppia nella vita, nonché collaboratori – hanno proceduto in modo tale da rendere esplicito questo rapporto, prolifico, tra realtà e immaginazione. Ne osserveremo le modalità e gli esiti in ordine.

Castelbottaccio è un paese di origine normanna, la cui fondazione risale all’XI secolo d.C.; si contano vari episodi di rilevanza storica nel corso delle epoche – anche in relazione alle vicende complessive  molisane; il primo periodo da cui hanno tratto spunti gli artisti è quello moderno, in modo particolare il passaggio tra Settecento e Ottocento che coincise in varie parti di Europa, sulla scia della Rivoluzione Francese, al sorgere e irrobustirsi di idee e movimenti repubblicani, fondati sul liberalismo. La serie complessa di vicende che portarono nel 1799 alla proclamazione della Repubblica Napoletana – animata dall’ideologia giacobina ed evidentemente avversa ai Borboni – ebbe riflessi anche nel territorio castelbottaccese, tramite l’azione “illuminata” di Olimpia Frangipane (nata nel 1761). Donna bella e colta, di origine nobile, appena ventenne fu sposa di Francesco Cardone, barone di Castelbottaccio: proprio il palazzo baronale divenne, grazie all’intelligenza e lungimiranza della baronessa, un luogo di incontro per molti intellettuali molisani – tra cui Vincenzo Cuoco e alcuni esponenti della famiglia Pepe.

Il cenacolo, che poté durare fino al 1795, non fu soltanto un ambito discussione; ciò di cui si parlava e teorizzava doveva servire a migliorare in modo concreto la vita del paese. Un esempio: Olimpia volle che in tutte le case degli abitanti di Castelbottaccio vi fosse un forno, in modo tale da interrompere la pratica di usare quello, unico, del barone, e di dover lasciare a lui, come contributo, una parte del pane cotto.  

Questo avvenimento, nella sua singolarità – correlato a una certa idea di giustizia nella divisione e nella disponibilità dei beni – è servito da impulso iniziale per Victoria DeBlassie; infatti l’artista ricorre in modo costante al riciclo dei materiali per le proprie opere – quale riflessione critica sul consumismo che connota la società odierna – e qui ha accostato, tramite analogia, il barone di allora a ciò a cui adesso ognuno di noi paga il suo pegno, appunto il sistema capitalista. Perciò ha chiesto a un gruppo di donne locali (di Castelbottaccio e Lupara, che già collaborano nel corso dell’anno, è il collettivo Intrecci),di scegliere alcune stoffe da loro non più utilizzate – di qualunque tipo: panni, lenzuola, vestiti – e di intrecciarle fino a creare dei cerchi. Questi, simili ai centrini e ad altri piccoli manufatti tessili che vengono realizzate nelle case come decorazioni interne domestiche, diventano i singoli elementi dell’installazione Sfrangi Pani, Sfrangi Pannipresentata coerentemente sul muro antico esterno, alla base del palazzo di Olimpia Frangipane. L’opera si collega a un’attività tradizionale in varie parti di Italia – il ricamo – riferendola però all’attualità paesana, e celebrando lo spirito di collettività e comunione esistente nel gruppo di donne che hanno collaborato. Essa riguarda inoltre la memoria, per il recupero di materiali che altrimenti sarebbero andati persi perché non più utili (dando loro, letteralmente, una nuova apparenza).

La memoria appunto, il passaggio del tempo, le tracce tangibili e i ricordi che ne conseguono. Ancora oggi gli abitanti del paese raccontano che quest’area, fino alle radicali trasformazioni del lavoro e della produzione dalla metà del Novecento, non fosse caratterizzata dall’agricoltura ma dall’artigianato. Non tanto terra e vegetazione, dunque, ma pietra e ferro. Appena fuori dal centro del paese affiora la Morgia Corvara (o Curvata), una grande roccia calcarea che ha funzionato da preziosa risorsa per la costruzione delle case. Gli scalpellini locali vi realizzarono anche i portali per la Piazza Vittoria e il Corso Umberto I; i loro attrezzi, come quelli necessari agli altri artigiani, erano forgiati a mano, con grande cura perché resistessero a lungo (essendo necessari al lavoro, costituivano il patrimonio personale). Oggi alcuni abitanti stanno recuperando e collezionando tali attrezzi, per farne il nucleo di un piccolo museo. In questo caso Victoria DeBlassie, in relazione a un’idea di cura e memoria, ha scelto di intervenire con un processo particolare: avvolgendo gli strumenti in panni di cotone e lino, e usando il calore, lo strato superficiale della ruggine è venuto a formare una serie di “impronte”, tracce di presenza che oscillano tra astrazione e figurazione. I teli risultanti, di varie dimensioni, sono stati allestiti, sospesi, in Piazza della Vittoria, creando un andamento movimentato, favorendo vari punti visuali in base al percorso. A volte gli attrezzi erano ben riconoscibili, altre volte la loro orma si era spanta divenendo evanescente oppure era ripetuta – per questa varietà di composizione, l’opera contiene in sé anche una componente pittorica. E in generale Ferro Bacchiatoè un omaggio alla laboriosità e alla creatività di Castelbottaccio, che attualizza in forma nuova un elemento importante della cultura paesana.

I racconti sono un mezzo necessario alla conservazione della memoria e, di solito, prima di venire fissati dalla scrittura, si diffondono nella forma parlata. Nel linguaggio orale – che poi è la modalità di tutti – la parte emotiva assume un rilievo netto, andando a unirsi, senza soluzione di continuità, con i riscontri che riteniamo oggettivi. Lo stesso fatto narrato da differenti persone assumerà sempre apparenze diverse (e talvolta persino altra sostanza). In fondo non si tratta di un “errore” che commettiamo, perché l’espressione, consciamente, è nutrita anche dalla personalità di chi parla: non vogliamo insomma trasmettere solo dei fatti, ci interessa inserirvi anche le nostre reazioni. Connor Maley ha preso ispirazione proprio dai racconti ascoltati in viva voce dagli abitanti di Castelbottaccio, negli incontri quotidiani: episodi storici, ricordi personali, credenze, miti, avvenimenti comuni – notando nelle persone, quale costante, un forte trasporto (in questo caso, uno dei luoghi di riferimento è stato il Circolo Neoilluminista Donna Olimpia Frangipane).

In quanto scrittore, il cui stile procede nel verso della sperimentazione (tramite la combinazione delle parole, la costruzione dei periodi, il ricorso a termini un po’ variati oppure a dei neologismi), le narrazioni sono state ulteriormente arricchite fino a giungere a una loro “trasfigurazione”, senza però mai perdere un certo grado di aderenza rispetto all’originale. In questo senso si tratta allo stesso tempo una raccolta autonoma di racconti, che di un affresco letterario di un luogo preciso in un periodo preciso, così come ascoltato, visto e sentito da uno scrittore americano (ma che conosce molto bene l’Italia, vivendoci da anni).

Un piccolo esempio: «…i fulmini si abbattevano sulla terra dove c’era la bambina senza nemmeno un lacrimino, sugli alberi di fico, sugli uliveti, attraverso il petto delle rocce, una volta o l’altra colpendo e spaccando in due un lupo, facendo così due lupi, che crebbero rapidamente e subito iniziarono a correre.» 

La contiguità al contesto paesano, ai suoi fenomeni naturali e a quelli umani, risuona come nota di fondo su cui si innestano descrizioni e azioni dense. Ogni singolo racconto è come un quadro ricco di elementi, dall’andamento libero; si inizia a guardare un punto per poi spostarsi verso il bordo, da qui la nostra attenzione è catturata da un’altra zona e poi da un’altra e così via, fino ad avere un’impressione di insieme. Il titolo stesso della raccolta sottolinea tale andamento, non senza una dose di ironia Fiori, fantasmi, e piccioli che vedono più di quel che si pensasse e persino più di quel che pensassero loro, i fiori e i fantasmi e i piccioli che vedono tutto incluso il non visibile.Ne è stata realizzata un’edizione limitata, con copertina di Victoria DeBlassie, e una versione digitale.

 


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