Robert Mapplethorpe – La perfezione nella forma

Lo scrigno di una bellezza considerata universale: ai lati del corridoio, il sofferto destino umano dei Prigioni, sgrezzati a fatica dalla pietra, più avanti il colossale David dallo sguardo intenso e dalle enormi mani. La fiorentina Galleria dell’Accademia custodisce alcuni tra i maggiori capolavori dell’arte occidentale, quindi detiene una primaria responsabilità culturale. Purtroppo, a questi due fattori non è corrisposta nel tempo un’idonea qualità d’allestimento: a esclusione della Galleria e della Tribuna, nei restanti spazi si ravvisa la necessità di una migliore disposizione delle opere, mentre l’illuminazione artificiale non risulta in alcun caso soddisfacente.
Discorso molto più complesso e delicato – ma qui inerente – è quanto riguarda la generale ri-qualificazione dell’istituzione museo; tornano alla mente le riflessioni che Francis Haskell sviluppava a partire dalla storia degli Uffizi. Ciò che si può azzardare, nell’intricato coacervo di valutazioni e proposte, è che ogni modalità risolutiva dovrebbe considerare la necessità di un dialogo fattivo tra epoche diverse. Robert Mapplethorpe - Lisa Lyon - 1981 - stampa in gelatina d’argento - cm 40,6X50,8 - courtesy Robert Mapplethorpe FoundationAppunto come sta avvenendo con La Perfezione nella Forma, coraggiosa ipotesi relazionale fra arte del passato e del presente.
Un’esposizione, questa, che trae forza dalla particolare esigenza che nel tempo ha accomunato tanti artisti e che, nello specifico, avvicina Michelangelo a Robert Mapplethorpe (New York, 1946 – Boston, 1989): l’assolutezza formale, il valore che consente la definizione della classicità.
Secoli di distanza colmati da un percorso in cinque sezioni, attraverso un’appropriata curatela e un rigoroso impianto scientifico. Vi si trovano, oltre i più semplici accostamenti – l’accentuata muscolatura maschile, la culturista Lisa Lyon simile a un’amazzone michelangiolesca – aspetti imprevisti: ad esempio lo schizzo per il Giudizio Universale datato 1534, che prova una condivisa poetica del frammento, la volontà del fotografo di relazionare la carne al marmo attraverso pose scultoree e accentuate costruzioni chiaroscurali, l’impostazione geometrica negli scatti di uno e nei disegni d’ingegneria militare dell’altro.
Il percorso quindi rivela un’analiticità consistente, che certo ha saputo giovarsi dell’ausilio della Mapplethorpe Foundation e dei consigli di Patti Smith (amica intima di Mapplethorpe). Appunto la maturità del progetto, che nell’accostamento delle due personalità ha dimostrato coraggio, rende inspiegabile un’evidente mancanza: la mostra non osa alcun riferimento alla produzione omoerotica, sadomaso, fetish di Mapplethorpe. Lecito? No, inaccettabile classificare quelle fotografie come un genere minore o come un errore entro un più vasto cammino di redenzione.
Robert Mapplethorpe - Derrick Cross - 1985 - stampa in gelatina d’argento - cm 40,6X50,8 - courtesy Robert Mapplethorpe Foundation
La sfida sarebbe stata grandiosa, e di conseguenza il risultato, se si fosse dimostrata la coerenza formale anche del vario repertorio di membri maschili. Un vero peccato, considerando che non sarebbe mancato neppure il collegamento: i nudi della Cappella Sistina, giudicati scabrosi dall’Inquisizione, e il modestoDaniele da Volterra destinato a passare alla storia per aver ricoperto, a colpi di braghe, pudenda ovunque esibite.
Viene allora da pensare: che sia un classico occidentale anche il tabù?

Matteo Innocenti

 

Robert Mapplethorpe – La perfezione nella forma
a cura di Franca Falletti e Jonathan Nelson
Galleria dell’Accademia
Via Ricasoli, 58-60 – 50122 Firenze

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